Roberta Di Mario è una pianista e compositrice elegante, emotiva e appassionata. Diplomata in pianoforte al Conservatorio di Parma con il massimo dei voti, lode e menzione d’onore, ha iniziato l’attività concertistica giovanissima, vincendo concorsi nazionali ed internazionali. Ama sperimentare e rischiare tra i tasti bianchi e neri, avvicinando il suo suono – dolcissimo e allo stesso tempo violento – al mondo del teatro, del musical, del jazz, swing, pop, contemporaneo, ambient e soundtrack. Abbiamo avuto la possibilità di sentirla telefonicamente e di intrattenere con lei una piacevolissima chiacchierata.
Ciao Roberta, grazie per la tua disponibilità. È un vero piacere poterti intervistare e parlare di te ai lettori di diamovoceallacultura. Potresti dirci che rapporto hai con la musica e con il pianoforte?
Suono il pianoforte da talmente tanto tempo che il braccio si confonde con lo strumento! (ride). Dico sempre che il pianoforte è l’estensione del mio essere: quando avvicino le mani allo strumento, i miei passaggi sono molto naturali, non faccio fatica; ovviamente c’è l’impegno dello studio, per imparare i vari brani, però suonare e comporre sono attività a me molto congeniali, mi vengono naturali, e quindi sono felice di aver trovato questa strada. Riuscire a fare quello che piace e poterlo fare bene è un vero privilegio.
Come componi?
Non c’è una regola. A volte è davvero la pura ispirazione che ti attraversa; ci sono giornate in cui mi sveglio e sento che scriverò, perché mi arriva qualcosa dall’esterno e sento l’urgenza di comporre. A volte, invece, faccio proprio come gli scrittori che si allenano tutti i giorni a redigere una pagina anche quando non sono ispirati: giro intorno a 2 o 3 note che voglio utilizzare, da lì escono delle idee e poi dalle idee nasce il pezzo. Non tutti i giorni, però, sono così privilegiati e preziosi da avere sempre un’ispirazione. A volte, invece, nasce qualcosa da fatti accaduti, o da un incontro, un viaggio… tu lo hai lì, dentro di te, e poi un giorno arriva il momento in cui senti di dover trasferire questa cosa in musica. Non ci sono tempistiche e regole. La pioggia, per esempio, è per me uno stato d’animo; più vivo una situazione intima, più mi è facile scrivere. Sono molto intimista, preferisco le tonalità minori.
Hai degli artisti di riferimento ai quali ti ispiri o che ti hanno influenzata?
Arrivando dalla musica classica, posso dire che Bach sia stato uno dei miei padri spirituali per la sua logica matematica e le strutture ipnotiche, davvero molto suggestive, fino ad approdare all’impressionismo musicale di Debussy. Ci troviamo di fronte a due modi di comporre e suonare completamente opposti, ma che io trovo nel mio modo di suonare, sia come stato d’animo, sia nei vari brani. Non posso tralasciare il romanticismo musicale con Chopin che amo molto. Essendo il mio un pianismo contemporaneo, compongo anche in base agli ascolti che ho effettuato in tutti questi anni di musica trasversale (jazz, musical, pop), pensa che ho pubblicato anche due album da cantautrice. Ho messo insieme parole e musica, imparando a scrivere testi che mi hanno poi portato a comporre la musica in maniera diversa anche ora con il pianismo contemporaneo. Amo molto le sonorità di Sakamoto perché sono un po’orientali e sono le stesse che riecheggiano parecchio anche nella mia musica, nella quale è possibile trovare un po’di pianismo francese di compositori quali Satie. Insomma, c’è un po’ di tutto, perché ho ascoltato talmente tanto che c’è versatilità: ho a disposizione una tavolozza di colori e sfumature che rappresentano un po’ il Dna della mia musica.
Puoi parlarci della genesi del tuo ultimo album “Disarm”?
“Disarm” uscirà a breve ed è concept album decisamente più vicino a me, a quella che sono oggi, rispetto a “Illegacy”, che è comunque stato un progetto importante perché è stato il mio ritorno verso la musica strumentale dopo due album cantautorali. Si tratta di un nuovo progetto di pianismo contemporaneo molto più maturo che ha come fil rouge il disarmo. Il mio è un disarmo emotivo e interiore, con tutte le sue sfaccettature: troviamo l’abbandonarsi, il concedersi all’altro, alla natura, alla musica, al senso della mancanza. Occorre abbattere le difese che abbiamo per paura e per le esperienze vissute. Il mio disco tenta, attraverso una storia di note, di invitare all’abbandono, al concedersi, che non vuol dire non avere difese, ma significa lasciare andare e tendere la mano, con tutti i limiti che ci possono essere. La difesa per se stessa, senza alcuna possibilità di chances all’altro o a quello che ci circonda, non ha senso. L’incipit del disco è infatti “Disarm yourself, let it be” (disarmati, lascia che sia) e magari è proprio la musica stessa che permette di disarmarsi.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Visto che è uscito lo spot di Tiscali con la mia musica, l’idea è quella di avere anche nuove opportunità di advertising e colonne sonore e lavorare per il cinema. Poi ci sono naturalmente le date del tour di “Disarm” e il desiderio di continuare a fare musica il più possibile, che fa bene all’animo e al cuore.