“Scorie d’esperienza” di Francesco Rossi – la recensione

“Scorie d’Esperienza”, la raccolta di poesie di Francesco Rossi (Guido Miano Editore, pp. 188),  presenta una prefazione di Floriano Romboli esauriente, acuta e ricca di acribia intitolata “Dare un senso alla vita: il coraggio, la fatica e la rabbia di un poeta”. Tali parole hanno un valore programmatico da intendersi nel senso a livello di coscienza letteraria dell’incontrovertibile valore salvifico della poesia stessa per varcare la soglia del senso al fine di liberarsi da una vita alienante e giungere o almeno arrivare in prossimità della possibilità di abitare poeticamente la terra in fusione e armonia con essa.

La poetica di Rossi è connotata da intellettualismo e anche talvolta da accenni di poesia civile (non a caso il riferimento esplicito a Pasolini): «Il Poeta tra l’umile s’addentra / Italia che vive sotterranea, / trìvia per il passato popolare, / lontana origine della coscienza… // Di fronte alla storia qual muta varia / si scontra l’ “ègo” borghese invischiato /…» (A miglior vate le ceneri…).
Dal titolo della raccolta emerge la parola “scorie” da intendersi come residuo di un processo per esempio di estrazione di un metallo da un minerale, qualcosa di cui liberarsi. Sembrerebbe che qui metaforicamente le scorie (per antonomasia inutili e dannose) possano avere un risvolto ottimistico e positivo e divenire esse stesse poesie come frutto dell’esperienza.
L’autore del volume è nato nel 1973 a Jesi (AN) e ha pubblicato numerose opere letterarie.
Il libro è scandito nelle seguenti sezioni: Ouverture pasoliniana, Via Crucis, Ozio di Marca, ed è composito e articolato architettonicamente.
Il poeta si rivela quindi un eclettico, ritrovando nella sua produzione svariate tematiche, anche se a livello stilistico formale tutte le poesie sono connotate da un comune denominatore, quello di una parola detta con urgenza che provoca complessità e che ha un forte impatto con il lettore a livello emozionale.

Si consiglia al lettore di leggere più volte le poesie per una maggiore comprensione, anche se nei versi dei componimenti – che brillano per icasticità – non si ritrova mai né l’alogico, né l’anarchico.
C’è anche il tema della poesia che riflette sulla poesia, che si ripiega su se stessa: «Smania il Poeta di parlare al mondo, / di raccontare, di offrire se stesso, / a un contesto sociale di valori!…» (L’usignolo che stonato canta…) e il tono usato dal poeta è spesso assertivo e gnomico.
I titoli della prima sezione riprendono quelli dei libri pasoliniani: «Dalle contraddizioni alle storture / in cui s’organizza il politicare / al notar termina estemporaneo / lo strumento dell’animo al Poeta, / sgualcito fiore d’origine tersa…» (Predicatore visionario).
Nella sezione Via Crucis ritroviamo inizialmente i componimenti per le tappe della via crucis stessa e il linguaggio, intonandosi al tema, si fa crudo e mistico: «…Dio non può esser che figlio a se stesso, / se la casa è l’equivalente Amore / che eguaglia i fini con la sua scienza, / che ogni speranza attende alla veggenza…» (Cristo condannato a morte).
Quindi attraverso le scorie dell’esperienza si ricostruisce un discorso e se c’è un proverbio tedesco che afferma che se l’esperienza è il nome che noi diamo ai nostri errori si può affermare che dopo esserci corretti ed essere maturati ci vorrà solo un minimo di impegno per riuscire in tutto: amore, lavoro, amicizia.

Raffaele Piazza

 

 

 

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